Recensione di it was just an accident: un thriller avvincente e provocatorio sulla vendetta

il ritorno di jafar panahi a cannes con “it was just an accident”
Il regista iraniano Jafar Panahi, noto per la sua lunga carriera sotto un regime repressivo, ha fatto il suo ritorno al Festival di Cannes dopo oltre 30 anni dalla vittoria della Camera d’Or con il suo debutto “The White Balloon”. Nonostante le numerose restrizioni e persecuzioni, tra cui arresti, divieti di viaggio e di produzione cinematografica, Panahi ha continuato a realizzare film in clandestinità o smuggandoli fuori dall’Iran. La sua ultima opera, “It Was Just An Accident”, presentata in concorso a Cannes e insignita del prestigioso Palma d’Or, rappresenta una testimonianza forte della sua resilienza artistica.
contesto e tematiche del film
una narrazione intrisa di tensione morale e sociale
Il lungometraggio si apre con una famiglia che, tornando a casa una sera, investe un cane. L’incidente costringe Eghbal (Ebrahim Azizi) a fermarsi presso un’officina per chiedere aiuto. Durante l’uscita dal veicolo, si percepisce chiaramente il suono del suo arto artificiale, causato da un incidente non specificato. Questo dettaglio scatena la paranoia del proprietario dell’officina Vahid (Vahid Mobasseri), che lo segue e decide di rapirlo per interrogarlo.
Vahid crede erroneamente che Eghbal sia colui che lo aveva torturato durante un periodo di detenzione nel passato. La scena si complica quando Vahid decide di seppellire Eghbal nel deserto, ma i dubbi sulla reale identità dell’uomo emergono subito dopo. La decisione finale viene presa solo dopo aver consultato altri detenuti e amici comuni.
sviluppo della vicenda e riflessioni morali
un confronto tra vendetta e giustizia
I personaggi coinvolti nel rapimento discutono animatamente sulla possibilità che Eghbal possa essere realmente il loro persecutore. Mentre alcuni sono pronti alla vendetta estrema, altri mettono in dubbio questa scelta considerando le conseguenze morali ed emotive. Il gruppo composto da sposi prossimi al matrimonio, un fotografo di matrimoni e altri individui si trova bloccato in un veicolo chiuso, simbolo della propria prigionia mentale ed emotiva.
Panfahi mette in scena questa dinamica come una metafora delle lotte interiori contro le ingiustizie oppressive imposte dal regime iraniano. Il film esplora temi come:
- reazione alla violenza
- resistenza silenziosa
- dubbio morale
- sistema oppressivo
- speranza individuale
significato politico e simbolico del film
una forma di resistenza artistica contro l’oppressione
L’opera rappresenta anche una dichiarazione politica indiretta: la possibilità di creare arte senza autorizzazioni ufficiali, sfidando le leggi oppressive iraniane come quella sull’obbligo dell’hijab per le donne sul set. Tra le scene più significative vi è quella in cui una protagonista afferma: “Non siamo come loro”, sottolineando i piccoli atti quotidiani di resistenza che assumono valenza rivoluzionaria.
Panfahi utilizza la narrazione per mettere in discussione il ciclo continuo di violenza imposto dal sistema autoritario. La pellicola invita gli spettatori a riflettere sui modi concreti attraverso cui si può opporsi all’ingiustizia con piccole azioni quotidiane.
personaggi principali presenti nel film
- Ebrahim Azizi nei panni di Eghbal
- Vahid Mobasseri nei panni del proprietario dell’officina Vahid
- Sofia Samad nei panni della futura sposa Shiva
- Mohammad Reza Golzar nei panni dello sposo
- Saeed Poursamadi nei panni dell’amico carcerato consultato da Vahid
- Narges Mohammadi come interprete non protagonista (nel ruolo simbolico)
- Membri del cast secondario coinvolti nelle discussioni morali tra i personaggi principali
“It Was Just An Accident”, diretto da Jafar Panahi, rappresenta uno dei più potenti esempi recenti di cinema impegnato proveniente dall’Iran. La sua première al Festival di Cannes 2025 ha confermato la forza espressiva e il coraggio artistico del regista iraniano nella sfida alle norme oppressive attraverso un racconto intenso ricco di domande etiche e sociali.