Giorgi Locatelli svela la brutta notizia: ecco cosa non è più sotto il suo controllo

La chiusura di Locanda Locatelli, un rinomato ristorante di Londra con oltre vent’anni di storia, rappresenta un momento significativo per il panorama gastronomico britannico. L’attività, fondata dallo chef Giorgio Locatelli, ha attratto numerosi clienti, diventando un punto di riferimento sulla scena culinaria della capitale. La notizia ha sorpreso molti, considerando l’importanza del locale nella cultura gastronomica londinese.

annuncio della chiusura

In un post su Instagram, Locatelli ha sottolineato: “È con tristezza che annunciamo la chiusura definitiva per motivi al di fuori della nostra portata”. Queste parole esprimono il forte legame che lo chef ha forgiato con la clientela nel corso degli anni, molte delle quali sono diventate figure familiari. Locatelli ha anche accennato a potenziali nuove iniziative, incoraggiando i follower a rimanere connessi per dettagli futuri. La chiusura di Locanda Locatelli, seppure definitiva, lascia aperta la possibilità di nuove esperienze professionali per lo chef, il quale annuncia ulteriori novità nei prossimi mesi.

storia e traguardi di locanda locatelli

Locanda Locatelli è stata inaugurata nel 2002 da Giorgio Locatelli e dalla moglie Plaxy Cornelia Exton, che ha condiviso con lui l’avventura imprenditoriale. Situato nella rinomata zona di Marylebone, il ristorante ha una capienza di 80 coperti e ha guadagnato una stella Michelin nel 2003, affermando così la sua posizione di rilievo nel contesto culinario locale. Locatelli ha iniziato la sua carriera nel Regno Unito all’inizio degli anni 2000, apportando l’esperienza maturata nel ristorante di famiglia e attraverso le tecniche apprese nella tradizione di pasticceria degli zii a Vergiate, sul lago di Comabbio. Il trasferimento a Londra nel 1983 segna l’inizio di un percorso di successo, culminato nel 1999 con l’ottenimento della sua prima stella Michelin nei ristoranti L’Olivo e Zafferano. La chiusura di Locanda Locatelli quindi rappresenta non solo un conclusione, ma anche un invito alla riflessione sulla carriera di un chef che ha saputo navigare l’evoluzione della gastronomia britannica.

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