Presence, recensione del film horror di steven soderbergh

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un approfondimento sul film “presence” di steven soderbergh

Il cinema di Steven Soderbergh si distingue per la sua capacità di reinventarsi e sperimentare nuove modalità narrative, anche a distanza di decenni dal suo debutto. Con il suo ultimo lavoro, Presence, il regista propone un’opera che sfida le convenzioni dell’horror tradizionale, concentrandosi invece su un’esperienza cinematografica più riflessiva e cerebrale. Questo film si distingue per la sua natura innovativa e per l’approccio che mette in discussione lo sguardo dello spettatore, creando un coinvolgimento emotivo e intellettuale profondo.

l’uso dell’occhio del fantasma come elemento narrativo

una prospettiva unica e immersiva

La narrazione di Presence si basa su una prospettiva radicale: non ci sono punti di vista esterni o testimoni neutrali. La macchina da presa assume il ruolo del “fantasma” stesso, muovendosi attraverso gli ambienti della casa senza mai abbandonare questa posizione soggettiva. Questa scelta permette allo spettatore di vivere l’esperienza dall’interno, come se fosse parte integrante degli eventi invisibili che si svolgono tra le mura domestiche.

Soderbergh – che firma anche la fotografia con lo pseudonimo Peter Andrews – utilizza lunghi piani sequenza con movimenti fluidi e geometrie precise, riducendo al minimo il montaggio per accentuare il senso di claustrofobia e continuità. L’effetto complessivo richiama le tecniche voyeuristiche dei classici del genere, rielaborate in chiave moderna e minimalista.

una narrazione che esplora il dramma familiare sotto una luce inquietante

I protagonisti e i loro conflitti interiori

I personaggi principali sono Rebekah (Lucy Liu), madre severa e pragmatica; Chris (Chris Sullivan), padre più sensibile e riservato; insieme ai loro due figli adolescenti: Chloe (Callina Liang), ancora sconvolta dalla perdita ambigua della migliore amica Nadia; e Tyler (Eddy Maday), un ragazzo narcisista alla ricerca di controllo attraverso atteggiamenti insensibili. La famiglia si trasferisce in una nuova abitazione, ma già dai primi momenti emergono tensioni latenti.

Dalla percezione di Chloe nasce il dubbio sulla presenza di qualcosa o qualcuno che li osserva. Fenomeni inspiegabili come oggetti spostati o sguardi provenienti dal nulla aumentano la sensazione di disagio. La dinamica familiare si complica ulteriormente quando entra in scena una medium incaricata di leggere la casa, alimentando l’incertezza sulla reale natura delle presenze.

un horror raffinato ed essenziale: tra assenza e percezione

L’assenza come elemento centrale dell’orrore

Presence si distingue dagli horror classici per la sua mancanza di colpi di scena clamorosi o jumpscare prevedibili. Il vero terrore risiede nell’assenza: quella della comunicazione tra i personaggi, dell’empatia umana e della presenza fisica delle persone care scomparse. Il film lavora sui confini tra realtà percepita e immaginazione, creando un’atmosfera sospesa tra lutto e proiezione psichica.

Sul piano estetico, il film invita a riflettere sul linguaggio cinematografico: chi guarda? Da dove proviene lo sguardo? Cosa succede quando lo sguardo diventa un vero personaggio all’interno della narrazione?

soderbergh: un autore sempre capace di rinnovarsi

Sintesi critica su “Presence”

“Presence” rappresenta un esempio significativo della capacità artistica di Steven Soderbergh nel creare opere immersive ed emozionalmente complesse. Si tratta di un film che preferisce l’introspezione alla spettacolarizzazione immediata, puntando sulla riflessione piuttosto che sui colpi bassi tipici del genere horror.

L’opera conferma ancora una volta come Soderbergh sia uno dei registi più vitali del cinema contemporaneo americano, capace di proporre lavori meno appariscenti ma profondamente significativi.

Membri del cast:

  • Lucy Liu
  • Chris Sullivan
  • Callina Liang
  • Eddy Maday
  • West Mulholland (Ryan) strong>
  • Agnese Albertini strong >

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