Mostro di stefano sollima: recensione della serie a venezia 82

La recente uscita di Il Mostro, una serie presentata in anteprima alla Mostra del Cinema di Venezia e distribuita su Netflix dal 22 ottobre, porta alla luce uno dei capitoli più oscuri della cronaca italiana. Basata sulla vicenda del Mostro di Firenze, questa produzione esplora un caso irrisolto che ha segnato profondamente l’immaginario collettivo, coinvolgendo otto duplici omicidi perpetrati con una Beretta calibro 22. L’analisi approfondita delle dinamiche di questa storia si inserisce in un contesto più ampio, quello delle contraddizioni sociali e culturali dell’Italia degli anni ’70 e ’80.
il mostro: una narrazione senza soluzioni definitive
Sollima sceglie un approccio innovativo nel raccontare il caso, optando per una narrazione che non fornisce risposte definitive né conclude la vicenda con una soluzione chiara. La serie si propone di analizzare i possibili “mostri”, seguendo le molteplici piste investigative che si sono sviluppate nel corso degli anni, spesso contraddittorie o sovrapposte. Ogni episodio non si limita a ricostruire le indagini, ma entra nelle vite degli sospettati, evidenziando le loro fragilità e i contesti familiari in cui sono inseriti.
una mappa complessa di sospetti e ipotesi
L’approccio adottato crea una sorta di diagramma narrativo, composto da molteplici piste e teorie. La rappresentazione dei personaggi e delle atmosfere toscane degli anni ’70 e ’80 rende l’ambiente familiare ma anche inquietante, sottolineando come la violenza sia radicata nel tessuto sociale locale. La serie mette in evidenza come il crimine non sia percepito come un evento isolato, ma come parte integrante di un sistema culturale più ampio.
sollima: il racconto dell’orrore senza morbosità
Sul piano stilistico, Sollima afferma di aver affrontato il materiale attraverso un “confronto con l’orrore”, evitando ogni forma di compiacimento o spettacolarizzazione del sangue. La serie si distingue per il suo equilibrio tra rigore documentaristico e tensione narrativa, mantenendo sempre alta la responsabilità nella ricostruzione dei fatti. Le ambientazioni rurali toscane vengono mostrati con attenzione ai dettagli: strade deserte, case isolate contribuiscono a creare un’atmosfera disturbante ma reale.
un’analisi sociale del fenomeno criminale
Uno degli aspetti più significativi riguarda lo sguardo sul contesto socio-culturale italiano. La narrazione utilizza la cronaca nera per mettere in luce le contraddizioni di un’Italia che si credeva moderna e sicura ma nascondeva forme di misoginia, violenze domestiche e paure ataviche. Il racconto evidenzia come le condizioni femminili fossero spesso caratterizzate da oppressione silenziosa all’interno delle famiglie, mostrando come il crimine possa essere interpretato come conseguenza estrema di sistemi culturali oppressivi.
l’ossessione narrativa e il metodo investigativo
Sollima insieme allo sceneggiatore Leonardo Fasoli ha dichiarato di aver studiato minuziosamente fascicoli giudiziari e atti processuali fino a farne una vera ossessione creativa. Questa immersione profonda ha portato alla scelta consapevole di non semplificare né adottare tesi predefinite; al contrario, si è deciso di rappresentare tutte le piste con onestà narrativa. Il metodo adottato richiama quello investigativo: seguire ogni traccia senza pregiudizi.
una serie che riflette sull’universale male invisibile
Dopo aver trattato temi quali criminalità organizzata e potere politico, questa produzione affronta uno spazio ancora più rischioso: quello dove il male non ha volto definito ed emerge come fenomeno universale. Il risultato è un racconto frammentario ed inquietante che lascia aperte molte domande anziché offrire risposte rassicuranti.
personaggi principali e protagonisti della narrazione
- – Stefano Sollima (regista)
- – Leonardo Fasoli (sceneggiatore)
- – Attori principali coinvolti nella produzione
- – Testimoni chiave delle indagini storiche
- – Analisti sociali ed esperti criminologi consultati durante la realizzazione della serie